Cassazione Civile: in materia di riconoscimento della protezione internazionale, l’allegazione di MGF è rilevante per tutte le forme di protezione (status, sussidiaria ed umanitaria), trattandosi di pratica gender based, che rappresenta, per la persona che le subisce o rischia di subirla, atto persecutorio e trattamento oggettivamente inumano e degradante, di fronte al quale il Giudice della protezione deve avere un ruolo attivo, compiendo ogni incombente istruttorio officioso ritenuto necessario, compreso l’audizione della ricorrente.

⏱ Tempo di lettura 3 min

Va accolto il ricorso proposto dalla richiedente protezione internazionale, cittadina nigeriana, che alleghi di aver subito mutilazioni (documentate da certificazione medica) e di temere, in caso di rimpatrio, di subire ancora persecuzioni basate sul genere o trattamenti inumani o degradanti atteso il clima socio-culturale caratterizzante il Paese d’origine. Difatti, il rischio di assoggettamento a pratiche di mgf costituisce elemento rilevante sia per la concessione della tutela umanitaria, sia per il riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi dell’art.14, lett.b), d.lgs. n.251 del 2007, poiché dette pratiche rappresentano, per la persona che le subisce o rischia di subirle, un trattamento oggettivamente inumano e degradante (Cass. n. 29971/2021; Cass. n. 5144/2022), sia per l’accertamento dello status di rifugiata, ove sia accertato che il fenomeno venga praticato, nel contesto sociale e culturale del Paese di provenienza, per motivi di appartenenza ad un determinato gruppo sociale ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 ed 8, potendo gli atti di persecuzione assumere la forma di violenze fisiche o psichiche (lett. a), o di atti specificamente diretti contro un genere sessuale o contro l’infanzia (lett. f) al fine di realizzare un trattamento ingiustamente discriminatorio, diretto o indiretto, della donna (Cass. n. 8980/2022).

È stato evidenziato con argomento utilizzabile per ogni forma di protone richiesta riferita alla pratica della MGF, che l’accertamento istruttorio correlato alla specificità delle allegazioni del ricorrente non riguarda solo l’indagine sull’obbligatorietà o meno della pratica di mutilazione nel Paese di origine (il caso ineriva all’infibulazione), atteso che la mera non obbligatorietà di detta pratica a livello legale o religioso non può ritenersi di per sé decisiva, ove la stessa sia ampiamente imposta da un costume sociale cogente in quel Paese. Nello specifico, deve essere valutata anche la sussistenza del rischio prognostico in caso di rimpatrio alla luce del fatto che tali atti di violenza rappresentano una forma di “controllo assoluto” sulla donna, non evitabile in ragione dell’impossibilità di ricevere protezione effettiva dalle autorità statuali, con conseguenze destinate ad incidere negativamente sul piano fisico e psicologico della ricorrente.

In materia di MGF, la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta ad Istanbul l’11/05/2011 e ratificata dall’Italia con L. n. 77 del 2013, definisce le MGF come grave violazione dei diritti umani delle donne e delle ragazze e come principale ostacolo al raggiungimento della parità tra i sessi. All’art. 60, rubricato “richieste di asilo basate sul genere”, onera le Parti contraenti ad adottare le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che la violenza contro le donne basate sul genere possa essere riconosciuta come una forma di persecuzione e come una forma di grave pregiudizio che dia luogo ad una protezione complementare/sussidiaria, che in Italia corrisponde allo status rifugiato, ai sensi D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 ed 8.

Il Tribunale, in attuazione del dovere di cooperazione istruttoria previsto dalla legge, a fronte dell’allegazione da parte della ricorrente di aver subito mutilazioni (come documentato dal certificato medico) e di temere, in caso di rimpatrio, di subire ulteriori trattamenti inumani o degradanti atteso il clima socio-culturale caratterizzante la Nigeria, avrebbe dovuto valutare, acquisendo COI aggiornate e precise sulla zona di provenienza della ricorrente, la fondatezza e l’attualità del rischio come prospettato da quest’ultima, in relazione anche alla possibilità di ottenere adeguata protezione da parte della autorità locali: inoltre, stante la particolare gravità del fatto dedotto, il Tribunale, ove avesse ritenuto necessari chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni della richiedente o nella documentazione sanitaria prodotta, avrebbe dovuto fissare l’audizione dell’interessata (Cass. n. 21584/2020) e non già limitarsi a rilevarne la mancata partecipazione all’udienza di comparizione – circostanza, peraltro smentita dal verbale di udienza del 4/2/2020 (fol.19 del ric.) – così come avrebbe dovuto compiere ogni altro incombente istruttorio officioso ritenuto necessario. Il decreto va cassato ed il Tribunale in sede di rinvio dovrà procedere a quanto sopra indicato, con rifermento ai dedotti atti di MGF ed alle lesioni documentate con certificati sanitari, traendo le conseguenze da quanto accertato, in relazione a tutte le forme di protezione internazionale e speciale richieste.

La Corte Suprema di Cassazione, Sezione civile, ordinanza n.22658.2023 del 26.07.2023

Scarica il provvedimento