Tribunale di Napoli: se accertata l’assenza, nel Paese di provenienza (Nigeria), di “anticorpi” contro la violenza di genere e la tratta, alla donna che già ne sia stata vittima, in patria e nei Paesi di transito, va riconosciuto lo status di rifugiata.

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Oggi 4 novembre, in occasione della ricorrenza del 73-simo anniversario della Convenzione Europea dei Diritti Umani , si pubblica una massima relativa alle forme di schiavitù contemporanea (schiavitù domestica e tratta degli esseri umani) vietate dall’art. 4 della Convenzione.

Le dichiarazioni rese dalla ricorrente – giovane donna nigeriana – in sede amministrativa ed anche in sede giurisdizionale avevano fatto emergere un vissuto personale costellato da “una pluriennale e variegata serie di atti di violenza di genere”. In particolare, la donna aveva riferito in Commissione che, ceduta dal padre ad un suo creditore, ella aveva subito per mano di questi gravi e reiterate violenze fisiche e sessuali, per sottrarsi alle quali era fuggita dal Paese, tuttavia, cadendo nella  rete della tratta a fini di sfruttamento sessuale.

Il Tribunale, ricondotta la vicenda di abusi domestici patiti nell’alveo della protezione internazionale, ritiene che la condizione di estrema vulnerabilità maturata prima della fuga dal Paese, unitamente alla circostanza per cui, soltanto nel corso del processo e dopo l’attivazione della procedura di cd. referral, la ricorrente aveva trovato il coraggio di rivelare i dettagli sulla sua partenza ed i fatti accaduti una volta giunta in Europa, concorrono a rendere plausibile e verosimile l’esperienza di tratta subita.

Inoltre, dalle Coi sulla Nigeria consultate dal giudice di merito emerge il “carattere diffuso, anche perché socialmente assentito” del fenomeno della violenza di genere e, quanto al trafficking, che “l’assenza di una disciplina efficace di tutela a protezione dei testimoni, la rarità delle condanne inflitte ai responsabili, la riferita esistenza di connivenze delle autorità statali con i trafficanti, l’elevato livello di corruzione nella polizia e nella magistratura rendono inefficace la protezione che lo Stato nigeriano può fornire alle donne intenzionate a reagire contro i propri sfruttatori”.

Pertanto, alla luce del pericolo effettivo e concreto per la ricorrente – qualora rimpatriata – di subire nuove violenze domestiche, nonché del rischio di re-trafficking, le va riconosciuto lo status di rifugiata ai sensi dell’art.8, co.1, d. lgs. 251/07.

Sulla nozione di tratta, si vedano la Convenzione NU contro la criminalità organizzata (2000) e i relativi Protocolli, nonché la Convenzione di Varsavia del Consiglio d’Europa (2005), dove esplicitamente si afferma che la tratta di esseri umani costituisce una violazione dei diritti umani e un’offesa alla dignità e all’integrità dell’essere umano, precisando che l’espressione “tratta di esseri umani” indica il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l’alloggio o l’accoglienza di persone, con la minaccia dell’uso o con l’uso stesso della forza o di altre forme di coercizione, con il rapimento, con la frode, con l’inganno, con l’abuso di autorità o della condizione di vulnerabilità o con l’offerta o l’accettazione di pagamenti o vantaggi per ottenere il consenso di una persona che ha autorità su un’altra, a fini di sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro o i servizi forzati, la schiavitù o pratiche simili alla schiavitù, la servitù o l’espianto di organi. Per il diritto eurounitario si veda la Direttiva 2011/36/UE

Per la giurisprudenza cedu, L.E. v. Greece (n.71545/12), sentenza 21 genn. 2016, mentre per un’analisi dettagliata del caso (ragazza nigeriana trafficata in Grecia), si legga Valentina Milano, The European Court of Human Rights’ Case Law on Human Trafficking in Light of L.E. v. Greece: a Disturbing Setback?, in “Human Rights Law Review”, 17(4), 2017, pp. 701-727.

 

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